Una volta qui era tutta chat

Spulciavo la mia mail con noia. Principalmente spam, newsletter che chissà perché ricevo. Poi qualcosa richiede la mia attenzione: “Importanti informazioni relative all’account Messenger”. L’account Messenger?! Ah, già, è vero che esiste ancora. Ecco, in realtà questa mail voleva comunicarmi che MSN sta tirando or ora i suoi ultimi respiri prima di essere inglobato da Skype – che io non so usare. Io nemmeno ci pensavo più, e invece improvvisamente ne sento la mancanza, ora che so che non potrò più accedere. E in un attimo è amarcord.

Perché prima della chat traballante di Facebook, prima dei 140 caratteri di Twitter, c’era QUELLA messaggistica istantanea, c’era QUELLA frase personale che non poteva essere più lunga di tot. C’ero io a quattordici anni che mettevo i codici dei colori per farmi il nome figo, e lo cambiavo quante volte volevo. Prima di WhatsApp vedevo l’ultima connessione degli amici da impezzare, tenevo aperta la finestra del tizio del momento sperando di vedere apparire “Sonofigoenonticago ti sta scrivendo…” sulla barra in basso. Emozioni forti. E ancora di più quando eri tu che attaccavi a scrivere per prima, poi ti pentivi, cancellavi e LUI ti scriveva: “Avevi bisogno?” perché sì, anche LUI teneva la tua finestra aperta. Quello sì che era vero Amore, altro che profili comuni! Altro che Impegnato con! Mai luce lampeggiante arancione fu più gradita.

No, ma parliamo della varietà di emoticon, che appena ti iscrivevi prendevi tutte quelle dai tuoi amici: la doppia C fatta come Chanel, i vari CIAO! sberluccicosi, il signor Burns che univa le dita (salvato sotto muahha nel mio computer); non ne potevi mettere più di cinque o non ti lasciava inviare il messaggio; poi dopo un po’ ti vergognavi e le toglievi tutte perché ormai eri diventata una persona seria. E chi dice che lo stalking selvaggio non funzionasse altrettanto bene? E’ vero: non c’era un profilo da analizzare minuziosamente, non c’era una colonnina destra che ti indicava i commenti, e soprattutto non c’era una funzione “Amici più stretti” con cui tenere sott’occhio persino i Like (ecco, ci tengo a specificare che nel mio effebì la categoria suddetta è al momento vuota), ma vi dirò: non ho quasi mai avuto problemi a scoprire quello che volevo. Perché l’importante non è solo sapere dove guardare, ma avere una buona rete di informatori e amici. E io ne ero ampiamente dotata. In sostanza sapevamo già tutti i cazzi di tutti senza nemmeno un diario. O tempora, o mores!

E ancora di più è stato grazie a Windows Live Messenger che ho scoperto il magico mondo dei blog. Tutti ne avevano uno, o almeno tutte le persone che contavano davvero, quindi non potevo mancare. Uno iniziava aggiornando il proprio, contando con ansia i commenti, postando gli album fotografici, cambiando lo sfondo, il nome, la frase di presentazione, persino inserendo una musica di sottofondo (ma quanto ero avanti?), poi si accorgeva che anche i propri amici ne possedevano uno, e appena appariva la stellina gialla di fianco agli omini che simboleggiavano i contatti era già un’altra ora di studio buttata nel cesso. Che poi, ma ve la ricordate la mania degli elenchi? “I miei libri preferiti”, “Le cose che mi piacciono”, “Io odio”, “I MIEI AMICI” (essere nella lista di qualcun altro era un onore, non esserci era guerra dichiarata). Quelli erano proprio per i più esperti, che volevano sboroneggiare per bene. Io ovviamente avevo tutto ciò sul mio space. Lo curavo con precisione maniacale, era la mia creatura. Scrivevo qualcosa tipo tutti i giorni, e per la maggior parte si trattava di spazzatura. No, non sono severa con me stessa: ero appena entrata nell’adolescenza ed ero sostanzialmente una ragazza deprimente. Sì, pensate i miei post più tristi di quest’anno e immaginateli scritti da una quindicenne che oltretutto abbreviava le parole. La mia buona stella l’ha voluto ora inaccessibile; non ho mai avuto il coraggio di cancellarlo – essendo mio malgrado una parte di me che comunque chiunque potrebbe ricordare con facilità – ma mi sento molto più serena ora che so nessuno vedrà mai le mie sbrodolate emo.

Rimangono invece nel mio cuore le lunghe descrizioni delle serate con le amiche, l’innocenza, la scoperta, la tutto sommato freschezza di quegli anni liceali che sono appena dietro l’angolo ma sembrano appartenere a un’altra dimensione. Le versioni di greco copiate in chat e distorte dalle stesse emoticon. Le conversazioni infinite perché non si impallava spesso, il fumetto sulla destra quando si connettevano i tuoi amici. Quando il ciozzo non si esauriva alla scuola e a eventuali pomeriggi insieme ma andava avanti praticamente 24 ore su 24. Sì, lo so che internet è a doppio taglio, che sono sempre preferibili le emozioni reali, ma è rassicurante essere sempre in contatto con chi vuoi anche quando si è impossibilitati a uscire.

Sono ormai quattro anni, mi sa, che non faccio più veramente l’accesso, ma sono una nostalgicona e mi piace ricordarmi tutte le sorprese che ci ho trovato sopra in quei giorni fatti di compiti a casa, di serate casalinghe che il giorno dopo la sveglia è alle 7. 7,30. 7,35. Porca puttana l’autobus. Tempi andati, com’è giusto che sia, trottolandosi intorno, come un omino verde e un omino azzurro, a passo di valzer.

In odore di maturità

Tutto questo parlare di maturità mi ha fatto pensare che dalla mia sono passati solo due anni, ma sembrano una vita. E dire che io mi ricordo tutto benissimo, perché io ho la memoria non solo fotografica, ma di tutti i sensi, e so ripetere alla perfezione le tracce dei temi, l’odore di gomma bruciata delle scale – perché i banchi ce li avevano messi nell’atrio – che si mescolava ai dolci effluvi emanati da trenta studenti in ansia, il caldo assassino per colpa del sole diretto sulla mia schiena e il terrore di andare in bagno, che magari sbaglio qualcosa e mi annullano la prova. Solo l’altro giorno ho ripescato la mia tesina: La figura di Amleto nella cultura del Novecento. Un titolo lungo che voleva solo significare: voglio parlare di ciò che amo di più. Un argomento inutile, senza alcuna finalità pratica, insomma, un argomento proprio da me. E mentre sentimenti contrastanti mi si agitavano dentro, sfogliando il frutto delle fatiche di quegli afosi giorni di giugno (sì, non maggio: la Piantagrane si muove all’ultimo minuto), ho di nuovo pensato, scandalizzandomi da sola: eh però, che bella la maturità.

Sarà che l’ultimo anno vola via perché con la mente sei già all’università, e ti vedi strafiga, della serie: “e che sono due o tre esamucci in confronto alla maturità?” Sticazzi! Davanti alle mille e passa pagine dei tomi che mi ritrovo i miei striminziti schemini di storia e filosofia erano filastrocche delle elementari. Soprattutto, i libri di testo avevano le FIGURE.
Digressione sui falsi miti universitari a parte, sono appunto tra le pochissime persone tra quelle uscite dal Pluripremiato Liceo Ginnasio Statale Sogninfranti – così lo ribattezzerò – ad essere soddisfatta di averlo frequentato. Chiariamo: mi hanno fatto incazzare non poco. Mi hanno fottuto dei crediti al quarto anno, abbassandomi tutti i mezzi voti. Dove me li avete messi, bastardi? Dove?! Mi hanno dato un voto finale di merda che mi ha pure impedito di vincere una borsa di studio per gli scritti – che invece erano fatti proprio bene – e che mi ha fatto di nuovo pensare: dove me li avete messi quei due punti, bastardi? Insomma, non la scuola ideale per una persona che ci tiene ai propri risultati – e quando non si ha una vita privata, allora sì che diventano importanti. Però quello che ho avuto in cambio, anche se non guarirà mai l’orgoglio ferito e l’indignazione (mi state leggendo? guardate il mio libretto adesso, STRONZI!), mi ha fatto capire che ne era poi valsa la pena.

Ho trovato amiche che restano, non è scontato. Ho scoperto quanto mi piacesse essere in un gruppo di teatro. Ho avuto una professoressa di italiano che mi ha fatto a lungo dubitare delle mie scelte per il futuro – voglio fare l’avvocato da grande o bearmi di letteratura? – e anche se alla fine ha vinto la testa sul cuore, e non ne sono pentita, ho sentito per la prima volta che si poteva amare una materia, e soprattutto apprezzare il modo in cui ti veniva trasmessa. E poi era l’unica che mi dava 9 nei temi. A dire la verità, mi sono trovata molto bene più o meno con tutti i miei insegnanti, quel famoso quarto anno a parte. Ma la cosa più importante che ho imparato, ed è anche la cosa che più ho odiato, è che là di regalato c’era ben poco, e quello che ho studiato in quei cinque anni io me lo ricordo, e lo ritiro fuori negli esami universitari e ci faccio sempre bella figura.
Beh, ho dimenticato la grammatica. E in effetti anche la fisica, le radici dei verbi greci (tutti i verbi greci, tutto il greco, facciamo), gli integrali in matematica, astronomia e scienze della terra. Ma le basi, le famose basi con cui ti fracassano i maroni al ginnasio, quelle restano per tutta la vita.

E quindi dico ai maturandi: quello che è finito è sostanzialmente un gran bel periodo, e non so dirvi assolutamente come sarà il prossimo per ciascuno di voi. Nel mio caso diversi fattori hanno reso l’anno della maturità quasi mitologico e carico di incredibili ricordi, ma non è detto che non ce ne siano di migliori in vista, e dato che da qui non si scende, tanto vale far le cose per bene. Posso solo farvi un in bocca al lupo per le prove e poi un altro augurio ancora più sentito per il vuoto galattico che ti si spalanca sotto i piedi dopo. E quando usciranno i quadri con i vostri punteggi, e magari rimarrete delusi, ricordatevi le mie parole: ride bene chi ride ultimo, vecchio detto sempre valido. Parola di Piantagrane.

(PS. Io avevo scelto il saggio breve sul Piacere, ma quello sul Labirinto di quest’anno mi sembra esponenzialmente più figo. Annata sbagliata)