Se dopo se

Mi raccontano che da piccola, in casa di amici, sono scivolata da un seggiolone non ben assicurato e mi hanno ritrovata carponi sotto il tavolo, pacifica come mio solito. Quella stessa sera, rimettendomi in macchina, mi hanno fatto inavvertitamente sbattere la testa; me lo raccontano perché solo da quel giorno in poi si sono accorti che avevo gli occhi di colore diverso, e forse è da quella caduta e da quella botta che la cosa si è decisa, e da lì in un qualche modo si è snodata la mia strada, che non dipende certamente dal colore degli occhi, ma alla fine chi lo sa.

Se avessi avuto gli occhi nocciola, o gli occhi entrambi verdi, come ho sempre desiderato fortissimo, mai nessuno mi avrebbe guardata dritto in faccia, con sorpresa. Non sarei mai stata paragonata a David Bowie, mai a un husky, mai mi avrebbero chiesto se ci vedevo in modo diverso – ci vedo come tutti, o almeno come tutti i disperatamente miopi, comunque – e forse avrei parlato con molte meno persone.

Se avessi saputo disegnare un po’ meglio, se non mi fossi messa a tre anni sul Pulcino Gaio e su Riccioli d’Oro sforzandomi di mettere le lettere in fila nella mia testa, senza muovere le labbra, a cinque anni sarei stata ancora alla scuola materna, invece che già alle elementari. Sarei cresciuta insieme ai miei coetanei, che un anno di differenza non significa niente, ma alle medie ti fa sentire debole, e diversa. Diversa, diversa, diversa, come gli occhi. L’Italia avrebbe vinto i mondiali l’estate della mia terza media, l’estate di eccitazione prima della grande avventura delle superiori; alla maturità avrei avuto latino in seconda prova, e la traccia del tema sull’Amore – che però non mi sarebbe piaciuta affatto.

Se la maestra non ci avesse fatto vedere Schindler’s List quando eravamo troppo piccoli per capire il male e vedevamo solo il sangue, non mi sarei impressionata così tanto, e avrei affrontato con più serenità il Diario di Anna Frank. Se non l’avessi letto, o se l’avessi letto con quella tranquillità che mi era stata strappata via da certe scene indelebili del film di Spielberg, non mi sarei lasciata turbare dal fatto che Anna volesse fare la giornalista, come me. Da bambina ipersensibile di nove anni avevo paura che mi spettasse lo stesso destino. Appunto, ero talmente ingenua che non potevo afferrare tutto il mondo che ci stava dietro, e i motivi per cui quelle cose orribili erano successe. Fu allora che decisi che non avrei fatto la giornalista, per la prima volta.

La seconda volta che decisi che non avrei fatto la giornalista avevo quattordici anni. Ero al ginnasio, e avevo una professoressa di italiano che odiavo con tutte le mie forze. Era una bigotta creazionista e vendicativa, e io ero terrorizzata da lei. Mentirei se dicessi che non era brava, anzi, conosceva molto bene la materia, ma io non le piacevo, e avendo anche io il mio caratterino mi ero impegnata per ricambiare la disistima. Mi diceva che il mio stile era troppo giornalistico (e che c’è di male, pensavo io, quello voglio fare!), che dovevo scrivere “questo accade perché” invece di “questo perché”. Io non ero il genere di studentessa ribelle che si ostina a riproporre gli stessi errori come provocazione, e quindi cercavo di seguire tutti i suoi consigli. I miei temi erano diventati macchinosi, senz’anima. Cercavo di uniformarmi e facevo una dannata fatica a scrivere; in realtà avevo perso ogni interesse nel farlo. E’ vero, ero una ragazzina alquanto presuntuosa che fino a quel momento era stata abituata a essere osannata dagli insegnanti di italiano, e avevo bisogno assolutamente di essere indirizzata, di essere corretta. Ma non da lei. Arrivata al liceo i miei compiti erano illeggibili, e fu solo sotto la più entusiasmante guida della nuova professoressa e dopo diversi votacci che mi riappassionai alla letteratura, e alla scrittura, e ritrovai il mio stile. Il punto è che il danno era fatto, e dopo la maturità mi iscrissi a Giurisprudenza, a cui ormai mi ero affezionata dopo aver abbandonato il sogno originale di studiare Lettere.
Non avrò mai la capacità e la cultura per fare la scrittrice, quello che io ho è solo una vaga conoscenza del codice civile e del codice penale, però ho aperto un blog mio, per poter fare di testa mia. Questo perché, questo perché, questo perché, guarda quante volte lo scrivo: questo perché. E’ sbagliato? Non mi importa, mi appartiene.

Se quando avevo cinque anni avessi partecipato con più entusiasmo alle lezioni di nuoto, invece di fare merenda tatticamente cinque minuti prima che mia madre mi portasse in piscina, adesso potrei andare in spiaggia e non stare tutto il tempo sotto l’ombrellone, avvicinandomi piano piano alla riva, giusto per pucciare i piedi, entrando in acqua ma solo finché tocco. Con gli amici avrei preso il pedalò per andare a tuffarmi dove il mare è più bello, avrei lasciato che fosse la luce riflessa delle onde ad abbronzarmi e il sale a rendere croccante la mia pelle e i miei capelli. Il tempo mi sarebbe passato molto più in fretta, e, soprattutto, non avrei avuto paura. Non riesco a immaginarmi una me coraggiosa, che non sussulta al primo pesciolino accanto alla caviglia, che non scruta preoccupata il fondale neanche una mano potesse sbucare tra la sabbia e afferrarmi. Però quello sarebbe stato bello. Non avere paura.

Se fossi stata una persona intraprendente, e un po’ meno pigra, a diciassette anni avrei fatto la mia brava valigia, e sarei partita per l’Inghilterra. Avrei studiato in un college (Giurisprudenza, Lettere, che importa, forse tutte e due), avrei avuto un fidanzato inglese, uno di quelli bellini però, e avrei preparato i miei esami seduta in un pub, come la Rowling quando scriveva Harry Potter. Poi magari sarei rimasta là, con o senza il fidanzato inglese bellino, e sarei stata felice. Non felice più di adesso, soltanto le mie tristezze avrebbero avuto un sapore diverso, forse leggermente di fritto, e di birra, e di pioggia e di erica.

Sarà che sono rimasta molto colpita da “Vita dopo vita” di Kate Atkinson, dove la protagonista continua a rinascere, ad libitum, e ad avere la possibilità di modificare il proprio destino (giuro che non è uno spoiler, è proprio la trama), sarà che tanti bivi fondamentali non li ho nemmeno studiati sulla cartina ma li ho imboccati senza accorgermene, ultimamente penso spesso a cosa sarebbe successo se avessi preso l’altra strada.

In verità, SE avessi io il dono di poter correggere ogni svolta dubbia, di poter limare la mia vita finché non mi soddisfa, con le manie di perfezionismo che mi ritrovo, signori miei, faremmo notte. All’infinito.

7 pensieri su “Se dopo se

  1. Le strade che ora ti sembrano quelle sbagliate, sono quelle che ti hanno fatta diventare così come sei ora. Errori che hanno comunque contribuito a plasmarti e a renderti lo stesso una bella persona. Non rimpangere nulla. ;)

  2. È sconvolgente! Hai dato voce ai miei pensieri.
    Tra le altre cose sembriamo sorelle separate alla nascita e mi sento perciò meno sola: primina, il sogno di diventare giornalista e scrittrice, l’amore spassionato per Londra e l’Inghilterra, una prof delle superiori che ci ha “distrutto” i sogni e ci ha fatto passare la voglia di scrivere (tra l’altro ho fatto il tuo stesso liceo quindi… Ti capisco), giurisprudenza (di questo non me ne pento però, sono contentissima)!
    Tutto questo per dirti che non sei sola ;)!

    Ps. Lo sapevi che Il grande Terzani è laureato in giurisprudenza? Quindi… Mai dire mai!

    1. Terzani infatti è di grande ispirazione per me! E alla fine anche io sono molto contenta di Giurisprudenza, come dici tu, mai dire mai.
      Ma tra l’altro, mi stai dicendo che ho praticamente una gemella?

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