Blue mood

Ci sono parole che ti porti dentro per qualche tempo, come una valigia che ti scoccia disfare. Io questa cosa la capisco forse più di ogni altro perché sono talmente pigra che tra un po’ lo zaino degli scout lo lascio fatto, per cambiare solo la biancheria di volta in volta. Io permetto ai vestiti di accatastarsi sulla poltrona per mesi e allo stesso modo permetto che i pensieri si spiegazzino negli angoli della mia mente, che è più tortuosa del labirinto del Minotauro, e poi chi li ritrova più. Sono disordinata, si sa. Io ci provo, Dio sa se ci provo, a sistemare, a mettere ogni cosa nel suo sacrosanto cassetto, ma cosa ci volete fare, prima o poi ritiro fuori tutto.

E infatti adesso ho scoperto che nella piccola mansarda del mio cervello – che ha tutti i mobili in quercia e gli angoli tondeggianti come la casa di un Puffo, sospetto sia scavata all’interno di un fungo – c’era un mucchio di roba nascosta sotto al letto che stava finendo per ingombrare il pavimento, e non si passava più. Calzini dell’anno scorso, camicette ripiegate alla bell’e meglio, cacciate lì sotto perché devono venire gli ospiti e il tempo per sistemare bene è poco. Ma alla fine, diciamocelo, gli ospiti se ne accorgono eccome della polvere che si ammonticchia accanto agli stipiti, del cuscino che nasconde il reggiseno buttato lì dietro, e poi ci credo che non tornano.

Sono parole d’amore, sono parole di dolore, sono parole che sanno di pioggia – quella che è caduta in abbondanza – e ne portano lo stesso odore umido e avvolgente. Sono le parole di chi riesce solo a scriverle, perché in gola muoiono, sembrano così sciocche ad alta voce. Sono le parole che non si vogliono dire a persone reali, perché le persone reali ci fanno male. Alcune si sono un po’ impolverate, ma sotto si può ancora vedere l’antica lucentezza: sono quelle che si erano messe da parte per le occasioni speciali, quelle da gran finale dei film, quelle più profonde da condividere solo con chi non ci fa più paura. Queste pietruzze insieme adesso verranno richiuse per bene, perché nonostante tutto sono preziose, e a stare lì, in mezzo alla stanza, si rovinano. C’è uno scrigno apposta per le parole che hai accumulato pensando di dirle a qualcuno prima o poi; se adesso non servono conservale come il vino quando si mette a decantare, come diceva la professoressa di filosofia al liceo sui compiti in classe che non si dovevano correggere subito.

Allora, per una buona volta, pulisci ogni pertugio, sistemati, ravviati i capelli. Mostra il viso migliore, ma deve essere il tuo davvero. Che non ho buoni consigli, non ho belle speranze, e i cassetti pieni di sogni sono chiusi a chiave dall’età del liceo, ma ho me stessa e me ne devo occupare come riesco. E cioè: male, malissimo. Orari di sonno e veglia scombinati, alcol e dolci come non ci fosse un domani, perché un po’ ci sono quei giorni che un domani non lo vogliamo.

Non fate finta di non sapere di cosa sto parlando, non fate quelli che “e vabbé, la depressione, il Giacomo Leopardi, fatti ‘na scopata”. Che sì, magari, grazie, ma state tutti così e io lo so. A volte vi concedete di stare in posizione fetale sul divano guardando la televisione a caso e canticchiando tra voi Adele, i Kleenex accanto, o vi imponete la lettura delle vicende di Em e Dex il giorno di San Swithin su cui poi potrete piangere come vitelli. Perché abbiamo letto troppi libri, visto troppi film, ascoltato troppe canzoni, siamo campati su troppi aforismi. Perché Dante, io ho sempre tifato per te, ma con quel tuo “Amor ch’a nullo amato amar perdona” m’hai fottuto la vita. Cioè, ma ci hai pensato bene prima di lasciare ai posteri una frase del genere? E tu, William, tu, passione di una vita, tu e le tue estati che non sfioriscono, perché dici che mai fu agevole il corso del vero amore? Jane! Non pensare che mi stia dimenticando di te, mia dolce sorella maggiore. Dovrebbero accompagnare i tuoi splendidi romanzi con un bugiardino: l’eccessiva esposizione provoca un proliferare di illusioni che neanche una dose endovena di realtà potrebbe mai curare. Se non vi avessi mai incontrato sarei stata una persona molto più spensierata, senza grilli in testa, senza castelli in aria. Ma non potrei mai maledire il giorno che mi avete dato quel po’ di illuminazione in più, quell’idea balzana che qualcosa potrebbe essere bello. Adesso qui è tutto grigio diluvio democratico, ma voi vi tengo lo stesso negli scaffali della mia mansarda mentale, in attesa di tempi migliori.

Un anno fa non avevo gli occhi per godermi la Primavera. Esplodeva in ogni dove, era radiosa, ma io mi limitavo a cercare ospitalità sotto gli ombrelli altrui nella speranza di asciugarmi. Adesso che gli occhi ce li ho, è proprio quella furbona a non voler passare. Quindi con tutta la buona volontà del mondo, tutte le pulizie che sono mio malgrado state fatte, anche questa volta si passerà direttamente a un’afosa estate, e pazienza così. Intanto ho sprimacciato per bene i cuscini del mio letto nella stanza fungheggiante, e mi godo il mio primo, lungo sonno senza sogni, che si sa, è sempre stato il più riposante.